Illudersi che nella ormai imminente legge di Bilancio 2020, che entro dicembre deve essere definitiva per poter entrare in vigore da gennaio 2021, ci sarà la riforma delle pensioni, è un esercizio azzardato. Infatti tutto sarà posticipato al 2021, con una legge delega che segnerà il futuro del sistema previdenziale per il dopo quota 100.
Questo significa che nella manovra di fine anno, nel canonico pacchetto pensioni che ogni anno è inserito nella legge di Bilancio, ci sarà spazio per alcune proroghe di misure in scadenza il prossimo 31 dicembre. Si tratta di opzione donna e dell’Ape sociale. Misure di pensionamento anticipato molto particolari, destinate a specifiche categorie di soggetti con altrettanto specifici requisiti da detenere.
Pensioni 2021, ancora opzione donna, ma per chi?
Opzione donna è una misura ancora oggi sperimentale nonostante sia nata nel 2004 con la legge Maroni. La misura è detta anche “regime sperimentale donna” e permette di lasciare il lavoro a determinate lavoratrici, con discreto anticipo rispetto all’età pensionabile prevista dalla quiescenza di vecchiaia.
Con opzione donna si può uscire dal lavoro all’età di 58 anni se la richiedente è una lavoratrice dipendente, mentre a 59 anni nel caso in cui la richiedente è una lavoratrice del settore privato. Contestualmente al compimento dell’età di uscita prevista, sono necessari almeno 35 anni di contribuzione versata. Per le uscite previste in questo 2020, opzione donna è una misura fruibile da chi ha completato il doppio requisito anagrafico-contributivo entro la fine del 2019. Se la struttura della misura resterà inalterata rispetto a come la conosciamo oggi, per poter accedere ad opzione donna nel 2021 occorrerà centrare questi requisiti entro il 2020. Pertanto, da gennaio potrebbero lasciare il lavoro con la misura, le donne che hanno compiuto 58 o 59 anni di età e allo stesso tempo, completato i 35 anni di versamenti contributivi, entro il 31 dicembre prossimo.
L’anticipo di pensionamento, che come è evidente può arrivare anche a 9 anni prima (l’età pensionabile per la pensione di vecchiaia è a 67 anni anche per il 2021), prevede però un calcolo della prestazione nettamente penalizzante per le lavoratrici optanti. La pensione viene calcolata interamente con il sistema contributivo, anche per quelle lavoratrici che hanno anni di versamento in epoca retributiva, cioè anni di contribuzione che avrebbero dovuto essere trasformati in pensione con il più favorevole sistema retributivo.
In questo modo, più anni di contributi sono antecedenti il 1996 (anno di entrata in vigore del sistema contributivo con la riforma Dini), maggiore sarà la perdita in termini di assegno previdenziale per queste lavoratrici. Un taglio che può arrivare anche al 40% della pensione teoricamente spettante senza scegliere l’opzione donna.
Ape sociale nel 2021 ancora a 63 anni
Anche l’Ape sociale potrebbe venire prorogata nella legge di Bilancio 2020. La misura, nata con l’ultimo governo Gentiloni (anche se è stata preparata dal governo Renzi prima del famoso referendum costituzionale che ha portato alle dimissioni da Premier del leader di Italia Viva), è una via di mezzo tra una misura previdenziale ed una misura assistenziale.
Ape è l’acronimo di Anticipo pensionistico e nella sua formula sociale, che si contrappone alla formula volontaria che prevede il prestito bancario per il pensionamento, è completamente a carico dello Stato. Si può lasciare il lavoro con l’Ape sociale già a 63 anni di età, ma solo se si rispettano determinati requisiti e se si rientra in determinate categorie di soggetti, tutti in condizioni di disagio. Infatti l’Ape sociale è destinata a disoccupati, invalidi, caregivers e lavori gravosi. Chi rientra in queste categorie, a determinate condizioni può accedere all’anticipo di pensione con almeno 63 anni di età ed almeno 30 o 36 anni di contributi.
Ape sociale disoccupati invalidi e caregivers
Partendo dai disoccupati, occorre ricordare che la pensione con l’Ape sociale si può ricevere solo se oltre ad essere in stato di disoccupazione, l’ultima rata di indennità Naspi è stata percepita tre mesi prima di presentare domanda di pensionamento. Questo requisito è oggetto di discussione perché sembra che nella proroga della misura nella legge di Bilancio 2020, potrebbe essere cancellato. Si eliminerebbe la discriminazione che la misura oggi prevede, per i soggetti che pur se disoccupati, sono privi dei requisiti utili ad accedere all’indennità per disoccupati Inps, meglio conosciuta come Naspi. Per i disoccupati bastano 63 anni di età e 30 anni di contribuzione a qualsiasi titolo versata.
Altra categoria di soggetti disagiati a cui è destinata l’Ape sociale è quella degli invalidi, purché abbiano un grado di disabilità pari almeno al 74%. Stesso grado di disabilità che deve avere il soggetto a cui il richiedente l’Ape presta assistenza nel caso dei caregivers. Per invalidi o per chi assiste familiari invalidi servono sempre non meno di 63 anni di età e non meno di 30 anni di contribuzione versata. Per i caregivers l’assistenza prestata al familiare disabile deve essere antecedente di almeno 6 mesi prima della presentazione della domanda di pensionamento.
Ultima macro categoria che può dare l’accesso all’Ape sociale è quella dei lavori gravosi. Si tratta di settori di attività talmente logoranti che devono essere trattati in maniera agevolata in termini di pensionamento. Questo ciò che è stato alla base della creazione di questo “lavoro gravoso”. Ad oggi esistono 15 categorie di lavoratori che godono di questa specie di status, anche se pare che l’intenzione del governo sia di estendere il tutto ad altre attività oggi escluse ma lo stesso logoranti.
Lavoro gravoso, categorie
Il diritto alla prestazione dell’Ape sociale, nel caso in cui si rientra tra una delle categorie di lavoro usurante si matura con almeno 63 anni di età ed almeno 36 anni di contributi versati. L’attività gravosa che da diritto all’Ape sociale deve essere stata svolta in 7 degli ultimi 10 anni di carriera o in 6 degli ultimi 7. Le 15 categorie di lavoro gravoso oggi previste sono:
- Operai edili;
- Gruisti e conduttori di mezzi di sollevamento e di estrazione nei cantieri edili;
- Conciatori di pelli e di pellicce;
- Conduttori di treni e personale ferroviario viaggiante ;
- Camionisti e conduttori di pezzi pesanti;
- Infermieri ed ostetriche che prestano servizio in turni nelle sale operatorie e nelle sale parto;
- Badanti e addetti all’assistenza personale di persone in non autosufficienti;
- Insegnanti della scuola dell’infanzia ed educatori degli asili nido;
- Facchini e addetti allo spostamento merci;
- Addetti ai servizi di pulizia;
- Operatori ecologici;
- Operai dell’agricoltura, della zootecnia e della pesca;
- Pescatori;
- Lavoratori del settore siderurgico;
- Marittimi.
Per l’Ape sociale, a prescindere dalla tipologia di soggetti a cui la misura è destinata, occorre sottolineare che si tratta di un reddito ponte che accompagna alla pensione. Infatti a prescindere dall’età di uscita, la misura viene erogata fino al compimento di 67 anni. In pratica, fino al raggiungimento della pensione di vecchiaia. I beneficiari dell’Ape sociale una volta compiuti i 67 anni dovranno presentare domanda di pensione di vecchiaia. Questo perché l’Ape sociale cesserà di essere erogata a partire dalla data in cui si compiono 67 anni. La misura inoltre non prevede la tredicesima mensilità e non è trasferibile a causa di morte del beneficiario agli eredi. In altri termini, la misura non rientra nel perimetro di applicazione della pensione di reversibilità o della pensione ai superstiti.