Lo Stato riconosce la pensione di reversibilità al coniuge superstite, nel momento in cui il compagno o la compagna muoiano. Se però è già intervenuta una sentenza divorzile, è concessa esclusivamente date precise condizioni. Infine, se il deceduto era nuovamente convolato in matrimonio, il trattamento assistenziale va ripartito tra il primo e il secondo coniuge.
Come ripartire la pensione di reversibilità secondo la Corte di Cassazione
Una recente sentenza emanata dalla Corte di Cassazione spiega come ripartire la pensione di reversibilità. Nel pronunciamento, sono contenute tutte le regole da applicare in simili casi. Ma andiamo per gradi. La pensione ai superstiti spetta al coniuge divorziato in presenza delle seguenti condizioni:
- perfezionamento in capo al coniuge deceduto dei requisiti di contribuzione e assicurati legislativamente previsti;
- avvio del rapporto assicurativo dell’assicurato o del pensionato antecedente alla data della sentenza che stabilisce la cessazione o lo scioglimento degli effetti civili del matrimonio;
- titolarità dell’assegno divorzile in forza di una sentenza dal tribunale;
- assenza di un successivo vincolo matrimoniale. Difatti, il coniuge superstite risposatosi perde il diritto alla pensione, anche qualora alla data del decesso dell’assicurato o del pensionato, le nozze risultino sciolte per morte del coniuge o per divorzio.
Laddove l’ex coniuge deceduto si fosse risposato, la pensione di reversibilità verrebbe attribuita sia al coniuge superstite sia al coniuge divorziato, purché entrambi abbiano i requisiti sopra indicati. Pertanto, sia la prima che la seconda moglie – nel caso in cui sia il marito a morire – devono aver ricevuto dal tribunale l’assegno divorzile. Nessuna delle due, inoltre, deve avere contratto un nuovo matrimonio.
La ripartizione in quote della pensione di reversibilità tra la prima e la seconda moglie compete al tribunale, rammentando una serie di fattori, a partire dalla durata dei rispettivi matrimoni. Oltre a tale criterio, il giudice, sulla base della sua discrezionalità, ha la facoltà di applicare correttivi ulteriori quali:
- il corrispettivo dell’assegno di divorzio percepito dal coniuge divorziato prima del decesso dell’ex coniuge;
- le condizioni economiche dei due ex coniugi. Ciò al fine di impedire, ad esempio, che all’ex coniuge siano negati i necessari mezzi per mantenere il medesimo tenore di vita che l’assegno di divorzio gli avrebbe dovuto garantire;
- la durata delle convivenze prematrimoniali.
La convivenze more uxorio non si limita a una valenza correttiva
In reiterate occasioni, la giurisprudenza ha asserito che la ripartizione della pensione di reversibilità deve essere effettuata in base a questi elementi. La convivenza more uxorio non ha una pura valenza “correttiva” rispetto alla durata del rapporto matrimoniale, bensì assume un autonomo e distinto rilievo giuridico, se il coniuge interessato riesce a dimostrare l’effettività e la stabilità della comunione di vita prematrimoniale.
Inoltre vanno valutati ulteriori elementi quali l’entità dell’assegno di mantenimento conferito all’ex coniuge e la situazione economica dei due aventi diritto. In ogni caso, la durata della convivenza non va confusa con quella matrimoniale, a cui il criterio legale si riferisce. Non sussistendo alcuna indicazione in tal senso fornita dalla legislazione, non c’è un limite alla quota pensionistica conferibile all’ex coniuge.