Un rapporto di lavoro prevede ordinariamente 40 ore settimanali, con un limite massimo pari a 8 ore giornaliere. Tuttavia, ciò non esclude che al dipendente il datore chieda un contributo straordinario, ovvero oltre la suddetta soglia. In tal caso consiste in attività retribuita in separata sede, in base a quanto pattuito dal contratto collettivo in materia. Difatti, il contratto collettivo specifica sempre il tetto massimo di straordinario consentibile per ogni categoria singola. Qualora le indicazioni venissero a mancare, il limite definito dal quadro normativo sarebbe pari a 250 euro annui. Di volta in volta lo straordinario può essere pagato dal committente, in relazione alle singole ore di lavoro erogate, oppure à forfait. La seconda soluzione risulta più opportuna nel momento in cui lo straordinario viene garantito nel tempo, in maniera ripetuta e costante.
Di recente, la Corte di Cassazione si è posta un interessante interrogativo, ovvero se lo straordinario forfetizzato in busta paga possa essere o meno revocato. Se il datore di lavoro abbia o no la facoltà di negare tale maggiorazione dalla retribuzione mensile, esclusivamente per il fatto che le ore di lavoro aggiuntive non siano più svolte dal dipendente. L’argomento è di particolare interesse, in quanto non è affatto improbabile che una situazione del genere venga concretamente a realizzarsi.
Per tale ragione c’era la premura di ottenere risposte certe e inequivocabili a tal proposito. Un tipico esempio è quello di un’azienda che cede ad un’altra un dipendente e che, in virtù del nuovo contratto, questi abbia il compito di svolgere più ridotti orari lavorativi. Il neo datore di lavoro, che ha ereditato a pieno tutti i vecchi contratti, ha il diritto di disporre la sospensione per lo straordinario à forfait dalle buste paga? Prima di entrare nello specifico della questione, è indispensabile effettuare alcune puntualizzazioni preliminari.
Cos’è lo straordinario forfettizzato
Partiamo da un concetto: nel momento in cui lo straordinario risulti poi non tanto straordinario, ossia il dipendente si trovi a effettuarlo con continuità e costanza, e per un ammontare di ore nel tempo sempre uguale, il committente – anche allo scopo di semplificare i conteggi mensili e la relativa contabilità – potrebbe decidere di corrispondere al prestatore d’opera il c.d. straordinario forfettizzato.
Il nome è piuttosto eloquente su quali siano le sue effettive caratteristiche, almeno per chi ha un po’ di familiarità con i termini comunemente impiegati nel mondo economico e del lavoro. Ebbene, lo straordinario forfettizzato consta in una maggiorazione specifica diretta a compensare le ore di straordinario svolte abitualmente dal dipendente, che si presume vengano rese sempre. La misura viene determinata a priori in funzione di un accordo raggiunto tra le parti interessate ed è costante nel tempo.
La modalità di pagamento è accettata dal quadro legislativo italiano purché non comporti mai e poi mai una perdita di retribuzione per il lavoratore rispetto a quanto avrebbe regolarmente percepito con la maggiorazione ordinaria per lavoro straordinario. Essa è legittima, a condizione che l’incremento sia sottolineato a parte rispetto alla ordinaria retribuzione. La clausola che stabilisce la corresponsione della retribuzione in maniera forfettaria a prescindere dal numero di lavoro è ritenuta illecita, poiché, in caso contrario, ciò implicherebbe la preventiva rinuncia al compenso per il lavoro eventualmente prestato oltre il limite massimo prestabilito. Dunque, affinché l’accordo abbia validità, esso deve comprendere in maniera dettagliata, e non generica, il limite massimo delle ore di prestazione lavorativa che il dipendente è tenuto a offrire.
Si può revocare lo straordinario forfettizzato?
Nelle prime battute di questo articolo dicevamo che la Corte di Cassazione ha compiuto una precisazione degna di nota, con riguardo allo straordinario forfetizzato o à forfait. Ebbene, i giudici di legittimità hanno dichiarato che il compenso à forfait della prestazione, resa oltre il normale orario accordato al lavoratore per un periodo di tempo lungo, laddove non sia associato all’entità presumibile della prestazione straordinaria, diventi un’attribuzione patrimoniale che, con l’avanzare del tempo, assume differenti fattezze rispetto alla formula originaria, tipica del compenso dello straordinario. Ciò cosa comporta? Semplice: che la somma diventi un superminimo, parte integrante della ordinaria retribuzione. Di conseguenza, il compenso straordinario va a sua volta a comporre la retribuzione e non più, in quanto tale, unilateralmente riducibile dal datore di lavoro.
Riprendendo l’esempio portato in precedenza all’attenzione, ricordiamo che il codice civile all’art. 2112 disciplina l’ipotesi del c.d. trasferimento d’azienda e cessione dei lavoratori alla nuova società. La normativa, prevede a favore dei dipendenti dell’imprenditore che trasferisce un ramo o l’intera azienda, la garanzia di conservazione di ogni diritto derivante dal rapporto di lavoro con l’impresa cedente ed è finalizzato a salvaguardare i crediti già riconosciuti al dipendente ed al rispetto dei trattamenti vigenti.
Superminimo
Pertanto, la prestazione, essendo stata commissionata per un periodo lungo di tempo senza correlazione con la presumibile entità dello straordinario reso, acquisisce una differente funzione da quella tipica del compenso per lo straordinario, divenendo un superminimo che entra a far parte della ordinaria retribuzione.
Quindi, la nuova azienda datrice di lavoro che ha ereditato il contratto non ha la facoltà di revocare lo straordinario à forfait. Il medesimo principio è stato proclamato in molteplici occasioni dalla giurisprudenza della Suprema Corte. La Cassazione ha evidenziato in ogni circostanza che, per rendere lo straordinario forfetizzato parte integrante della retribuzione base, è fondamentale che sia corrisposto per un arco temporale parecchio lungo. Eppure, il margine temporale indicato non viene quantificato con precisione.