Il lavoratore in regime forfettario che assolve a contributi assistenziali e previdenziali di importo superiore a quanto prodotto dall’attività svolta (autonoma o d’impresa) può dedurli dal suo reddito complessivo oppure da quello del soggetto di cui è fiscalmente a carico. In più occasioni l’Agenzia delle Entrate ha ribadito il concetto, valido anche nella dichiarazione del Modello PF/2020.
Regime forfettario: si applica un coefficiente di redditività
Chi svolge in regime forfettario attività d’impresa non paga l’Irpef e le relative addizionali, bensì un’imposta sostitutiva con aliquota del 15%. Il criterio su cui applicarla è appunto “forfetario”, ovvero viene impiegato un coefficiente di redditività ai redditi/compensi percepiti nell’anno d’imposta (principio di cassa), che varia a seconda del codice ATECO che caratterizza il ramo in cui il lavoratore opera.
La deduzione dei contributi sopra citati avviene sempre col principio di cassa. Dunque, entro il prossimo 30 settembre possono essere dedotti, dal lavoratore in regime forfettario, le tasse “versate” lo scorso anno nel Modello Redditi PF/2020. Questi vanno indicati al rigo LM35. La deduzione avviene al reddito lordo della prestazione (ossia da quello determinato applicando ai ricavi/compensi ricevuti, il coefficiente di redditività).
I delicati primi anni
Lo abbiamo anticipato all’inizio, senza però soffermarci. Com’è possibile che l’importo dei contributi previdenziali e assistenziali sia più elevato del reddito lordo? Ciò potrebbe verificarsi soprattutto durante i primi anni di attività.
Ad esempio, si consideri il caso in cui per il 2019 risulti un reddito lordo di 3mila euro e contributi versati per 3.800 euro. In tale circostanza la differenza tra le due cifre (800 euro) non è persa ma è deducibile direttamente dall’eventuale reddito complessivo ai fini IRPEF. Inoltre, è previsto che se il soggetto è fiscalmente a carico di altri (ad esempio del genitore) la differenza può essere da quest’ultimo dedotta nella sua dichiarazione dei redditi.