Nel dimostrare l’antieconomicità o inattendibilità della documentazione contabile, il giudice competente deve valutare gli elementi presuntivi dell’accusa ma anche della difesa. Con l’ordinanza n. 17372/2020, depositata in data 19 agosto, la Corte di Cassazione ha chiarito che l’organo preposto a decidere ha il compito di prendere in esame, oltre alle prove presentate dall’Ufficio, pure quelle del contribuente, che intende contestare tali presunzioni.
Documentazione contabile: valgono anche gli elementi presuntivi del contribuente
La controversia in oggetto concerne il ricorso avanzato da un imprenditore esercente attività di taxista. Nella fattispecie, l’Agenzia delle Entrate – Riscossione aveva ricalcolato ricavi superiori rispetto a quelli dichiarati, recuperando a tassazione maggiori imposte ai fini Irap e Irpef. In sede di accertamento era stata, infatti, rilevata l’inattendibilità del ricavo giornaliero medio, nonché le spese di manutenzione e di consumo carburante. Così si è misurato nuovamente il costo medio di una corsa sulla base della lunghezza, delle tariffe regolamentari e del numero di km dichiarati.
A conferma delle sentenza di primo grado, la CTR respingeva il ricorso dell’imprenditore e confermava la legittimità dell’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate. La titubanza derivava da presunzioni gravi precise e concordanti non superate dal contribuente, rimasto privo di ogni sostegno probatorio.
Cassata la sentenza impugnata
Il caso è dunque giunto alla Suprema Corte, la quale ha, invece, accolto il ricorso dell’imprenditore e cassato la sentenza impugnata; con rinvio alla Commissione tributaria regionale in differente composizione. Nel caso di specie la Commissione ha “bollato” l’accertamento dell’ufficio legittimo osservando che le doglianze di parte si riducessero a mere affermazioni.
Sono stati definiti inattendibili i ricavi dichiarati, irrisoria la remunerazione media per chilometro, eccessivamente ridotta la percorrenza giornaliera. La Cassazione ha espresso contrarietà alla pronuncia d’appello; “oscura e incomprensibile” in quanto priva di un ordinato ed esplicito chiarimento delle ragioni logico-giuridiche dietro al rigetto dell’appello.