Una semplice provocazione o i tempi nel mondo del lavoro stanno effettivamente cambiando? In questi ultimi anni si è certamente assistito a radicali novità nei più svariati ambiti professionali. Per fare carriera il percorso in Università sembra aver acquisito importanza, se non marginale, quantomeno secondaria. L’ultimo (eccellente) esempio che è possibile portare a sostegno di tale tesi lo fornisce Spotify.
La celebre piattaforma on demand di musica in streaming è attualmente alla ricerca del nuovo capo degli studios per l’Europa orientale e meridionale. Fin qui tutto regolare, una normale offerta di lavoro come tante se ne leggono in giro.
Università: il titolo di studio non conta più?
Ma in realtà una stranezza c’è, basta prestare attenzione: spulciando i 10 requisiti inseriti, manca completamente quello legato agli studi. Ebbene, la laurea non è richiesta, come lo è invece mantenere sempre un atteggiamento positivo e aver capacità di adattamento. Qualità professionali e umane per cui il titolo di studio non serve e non servirà mai.
Che si tratti di una svista? Improbabile, anzi impossibile. E Spotify non è nemmeno una rara eccezione. Infatti, il colosso dello streaming musicale si trova già in ottima compagnia, se pensiamo che anche tre autentiche superpotenze informatiche quali Apple, Google e IBM non badano ai risultati conseguiti in ambito accademico. E non finisce qua. Oltre alle tre aziende tecnologiche, si aggiungono Starbucks e addirittura la Bank of America.
Il caso Elon Musk
C’è poi il caso Elon Musk, uno dei principali protagonisti del business internazionale dell’oggi e del domani. Stando alle dichiarazioni rilasciate dal numero uno di Tesla ed altre avveniristiche realtà (inclusa la compagnia spaziale SpaceX) per finire alle sue dipendenze non è affatto imprescindibile andare all’Università. Addirittura il visionario imprenditore l’ha definita come un luogo dove divertirsi e non dove imparare.