Le tasse si possono pagare anche in contanti. Per difendere i poveri, che di rado hanno altri strumenti di pagamento. L’ha detto l’avvocato generale della Corte di giustizia Ue, Giovanni Pitruzzella, in una causa.
Per Pitruzzella, l’utilizzo di moneta diversa da quella espressa in forma fisica nel contante presuppone l’utilizzo di servizi finanziari di base. A cui un numero di persone non marginale non ha ancora accesso. Per questi soggetti vulnerabili il contante costituisce la sola forma di moneta accessibile. E quindi l’unico mezzo per esercitare i propri diritti fondamentali. Bisogna tenere conto della funzione di inclusione sociale che il denaro contante svolge per i soggetti vulnerabili. E garantire l’esistenza effettiva di altri mezzi legali di estinzione dei debiti.
Due eccezioni a questo principio sulle tasse. Uno: il caso in cui le parti contrattuali, nell’esercizio della loro autonomia privata, abbiano convenuto altri mezzi di pagamento diversi dal contante. Due: il caso in cui l’Unione o uno Stato membro la cui moneta è l’euro abbiano adottato, per motivi di interesse pubblico, limitazioni all’uso delle banconote in euro come mezzo di pagamento. Queste limitazioni non possono portare a un’abolizione completa, di diritto o di fatto, delle banconote in euro. Per la cronaca, tutto nasce dalla lotta tra due contribuenti tedeschi all’organismo di radiodiffusione dell’Assi. Per il diniego di quest’ultimo di accettare il pagamento del canone televisivo in contanti (cause riunite C-422/19 e C-423/19).
Comunque, questo nulla ha a che vedere con la guerra al contante del Governo Conte contro l’evasione. Parliamo di super evasori delle tasse, che sottraggono allo Stato enormi risorse. Da dedicare a scuole, pensioni, strade, incentivi, bonus, sanità. È ovviamente opportuno dare addosso anzitutto agli squali: i grossi evasori.