Quante volte, mentre eri sul punto di concludere un acquisto in negozio, il commesso ti ha detto che, se non dovesse andar bene, avresti modo di effettuare il cambio merce entro 7 giorni? Probabilmente, l’abitudine, abbinata a una conoscenza scarsa della legislazione vigente nel nostro Paese, ti ha indotto a pensare che la frase riportata in apertura fosse più un diritto, anziché il tentativo, da parte del commerciante, di accaparrarsi un nuovo cliente.
Il proposito del gestore di uno store non è certamente la semplice finalizzazione di una vendita, bensì il discorso è di più ampie vedute. Il vero scopo è pianificare strategie di marketing in grado di portare a dei frutti. A tal proposito, soddisfare il bisogno di un consumatore desideroso di cambiare il prodotto in precedenza acquistato può costituire una modalità per mantenere la platea di acquirenti attiva. Eppure, capita di sovente di imbattersi in titolari “allergici” a questo modus operandi, contrari all’idea di procedere con le sostituzione.
Nel momento in cui si finisce per imbattersi in situazioni del genere, ovvero si veda negata la possibilità di procedere al cambio merci, quali vie è bene intraprendere? In questo articolo andremo a fondo sulla questione, avanzando concreti esempi e casi accaduti realmente. La ragione alla base è di fornirti i legali strumenti essenziali per affrontare nella maniera corretta il momento dell’acquisto, così da non incappare in inconvenienti spiacevoli come, per l’appunto, il rifiuto da parte del titolare di sostituire la merce di cui sei entrato in possesso.
Le misure di salvaguardia del cliente nei negozi fisici e online
Prima di passare al vero nodo della questione, è importante fissare immediatamente i termini di un’importante distinzione che coinvolge le attività commerciali. Difatti, da una parte troviamo gli operatori che agiscono virtualmente mediante vari mezzi, dall’altra gli store fisici a cui siamo avvezzi.
Alla prima categoria appartengono sia i venditori specializzati nel business online, così come chi si avvale di promozioni porta a porta, call center e televendite.
In qualsiasi circostanza, non è detto che un punto vendita virtuale non disponga pure di uno reale e viceversa. Al di là di ogni eventuale differenziazione, agli occhi del legislatore, conta l’avvenuto acquisto, di persona o mediante modalità alternative. Ma ciò quali conseguenze ha riguardo alla distinzione sulla necessità di cambiare la merce? La ratio della legge consta nel salvaguardare sempre la parte più debole di un accordo contrattuale.
Qualora l’acquisto sia concluso presso un negozio fisico, è chiaro le due parti sono equiparate dinanzi ai diritti. Lo stesso non si può dire se l’ordine è avanzato online: in tale fattispecie, non potendo constatare materialmente che il bene in vendita sia davvero in grado di soddisfare le esigenze personali, il cliente parte da una posizione di svantaggio.
Dunque, in linea con la suddetta logica, è ben evidente come, in chiave prettamente legislativa, l’acquirente di un bene in negozio non ha la facoltà di avanzare i medesimi diritti di colui che ha ultimato la transazione online. Una distinzione è rappresentata proprio dal diritto di recesso, che è attribuita esclusivamente a chi ha acquistato un bene da un qualunque canale virtuale. Il compratore che invece compra il prodotto all’interno di un locale commerciale non ha il diritto di recesso. Ti sembra i conti fatichino a tornare? Chiariamoci facendo un esempio.
Giovanni si reca presso un punto vendita di divani per comprarne uno. Ha modo di testare sia la sostanziale integrità del prodotto sia che esso risponda alle personali necessità (morbidezza, resistenza, dimensioni, ecc.). Il cliente ha abbandonato gli indugi, acquista il materasso e se lo fa spedire direttamente a casa. Tuttavia, una volta rilassatosi sul divano, comincia a nutrire qualche perplessità: esteticamente non risponde appieno ai suoi canoni.
L’acquirente ha il diritto di appellarsi alla legge per cambiare la merce? La risposta è quella più sgradevole da sentire: assolutamente no. Non esiste alcuna normativa che in tale situazione tuteli il cliente. Come avremo successivamente modo di osservare, però, le strategie commerciali, pensate con un pizzico di buon senso, danno al venditore e al cliente il diritto di venirsi incontro, ma non per forza in linea a disposizioni normative.
Supponiamo adesso l’esempio in cui Giovanni compri lo stesso divano da una televendita. In tal caso egli, una volta resosi conto che il prodotto non risponde pienamente alle sue esigenze, ha facoltà di chiedere – e ottenere – il cambio della merce.
La normativa di riferimento
L’esempio portato all’attenzione serve a capire che il cambio del prodotto comprato in un negozio fisico dipende esclusivamente dalla discrezionalità dell’esercente. Invece, laddove l’ordine avvenga in modalità virtuale, il cliente ha la facoltà di far valere i propri diritti relativamente alla sostituzione.
Quali sono le ragioni alla radice di tale duplice trattamento? Ci siamo già soffermati sul principio in base al quale il diritto di recesso protegge unicamente il consumatore, ma ora, fornita una preliminare delucidazione, è giunto il momento di analizzare più da vicino la normativa di riferimento. Sebbene tuttora manchi un vero e proprio diritto di sostituzione che supporti le garanzie post-vendita, a partire dal 2005, la lacuna in oggetto è stata parzialmente colmata dal Codice del consumo. Rimanendo nei limiti della tematica qui affrontata, in conformità al testo legislativo, se il cliente compra un bene a distanza o comunque fuori dal negozio, ha 14 giorni di tempo per procedere al recesso dall’accordo contrattuale.
La normativa valida in Italia stabilisce che l’arco temporale indicato non decorre dal momento dell’ordine, bensì da quello in cui l’acquirente entra in possesso dell’oggetto fisico. Insomma, dall’istante in cui la consegna va a buon fine. In aggiunta, se l’ordine contempla multipli acquisti consegnati in differenti frangenti, la determinazione del tempo utile per richiedere il recesso dal contratto decorre dal giorno in cui l’ultimo tra i beni ordinati è stato consegnato. Lo sa chi ha una buona dimestichezza con le piattaforme di e-commerce (eBay, Amazon, …), dove è una prassi consolidata quella di acquistare in blocco gli articoli per spalmare le spese di spedizione o avere, se non altro, diritto a una consegna gratuita.
In data 20 ottobre, Marco ha, ad esempio, acquistato da un sito web i seguenti prodotti: uno smartphone, un paio di cuffie di ultima generazione, una cover. Dopo 3 giorni, Marco riceve a casa la cover, mentre a 8 giorni di distanza dall’ordine – e siamo perciò al 28 ottobre – riceve gli altri due prodotti ordinati, ovvero lo smartphone e le cuffie. Tuttavia, Marco nutre dei dubbi in merito alla cover, riservandosi qualche giorno di tempo per valutare a fondo l’acquisto effettuato. Quanto tempo ha a disposizione? Stando a quello che abbiamo finora detto, Marco può avanzare domanda di recesso entro e non oltre l’11 novembre.
Come difendersi in caso di rifiuto di cambio merce
In buona sostanza, al rifiuto del cambio di una merce comprata online si possono opporre validi strumenti legali, atti a salvaguardare i diritti del consumatore. Purtroppo, per le ragioni che abbiamo sopra illustrato, le medesime misure non sono adottabili qualora l’acquisto avvenga in uno store fisico.
Finora abbiamo ragionato a livello puramente teorico, ma è ora il caso di analizzare un caso concreto, messo a segno da un celebre negozio di casalinghi del siracusano. L’insegna in questione ha detto di “no” alla domanda di una cliente di cambiare la merce comprata all’interno dello showroom, avanzando a sostegno della propria decisione due ragioni:
- l’acquisto non era avvenuto in rete, bensì in un negozio fisico;
- gli articoli acquistati non presentavano alcun difetto di conformità.
La mossa dell’esercente magari sarà stata poco furba, in quanto la cliente non farà più ritorno, ma si guarderà intorno e andrà dalla concorrenza, possibilmente più incline ad accontentarne le richieste. Di certo, comunque, il gestore del negozio non ha ammesso alcuna violazione di legge poiché un vero e proprio diritto di sostituzione in realtà non esiste. In via pressoché unilaterale, compete al proprietario del punto vendita stabilire le condizioni del cambio merce. Tuttavia, una via di fuga esiste, ossia nel caso in cui la merce in questione avesse presentato dei difetti. Qui l’attività commerciale avrebbe l’obbligo di restituire la merce (e di ciò ne parleremo nel prosieguo).
All’acquirente la disposizione potrebbe apparire illegittima. In realtà, se si prendono in analisi il rischio imprenditoriale e la politica commerciale a esso connesso, la logica che ci sta dietro diverrà, in qualche maniera, accettabile. Difatti, il fine perseguito dalla larga prevalenza dei negozi non si limita alla mera vendita, ma mira alla fidelizzazione dell’acquirente. Ciò che significa? Attraverso una serie di strategie la clientela già esistente sentirà di avere un buon legame con il venditore e, soddisfatto del servizio ricevuto, sarà più propensa a fare ritorno nel momento in cui dovrà effettuare qualche altro acquisto. Non scapperà dalla concorrenza, come preventivavamo in precedenza.
Quando un commerciante rifiuta di cambiare la merce, corre un evidente e serio rischio: che in quel preciso istante, il suo bacino di possibili clienti subisca una rilevante flessione. Oltre al diretto interessato, bisogna guardarsi bene dall’effetto passaparola. Decenni (ma anche soltanto qualche anno) fa il gestore di un negozio sentiva di avere un maggior potere nelle trattative. Nel periodo in cui i portali e-commerce non erano ancora nati oppure si trovavano in uno stadio embrionale, recarsi in uno store fisico era spesso l’unica opzione.
E, soprattutto per quanto riguarda i residenti in piccoli Comuni, poteva esserci un solo negozio che vendeva quel determinato tipo di prodotto. Ecco perché il negoziante aveva maggiormente la possibilità di fare la voce grossa e di decidere a piacimento. Oggi le possibilità si sono sensibilmente ridotte.
Consapevoli della agguerrita competizione che si è venuta a creare sul mercato, la prevalenza dei negozi è più incline ad ascoltare le ragioni della controparte e non si fossilizzerà sulle disposizioni del testo normativo. D’altronde il legislatore lascia loro la libertà di definire le tempistiche e le modalità in proprio. E se il cambio della merce avviene esso non è da attribuire ai provvedimenti del legislatore, semmai al buon senso della politica del punto vendita (o della casa madre se parliamo di una catena).
Il disagio, comunque, rimane, almeno dal punto di vista del consumatore. E allora quali armi avrà nell’arsenale per evitare di incorrere nel rifiuto del cambio di un prodotto acquistato? Il suggerimento è quello di chiedere, in via preventiva, al responsabile del punto vendita, o del commesso ivi presente, se c’è la possibilità di sostituire la merce ed entro quanto tempo bisognerà procedere. In relazione alla risposta pervenuta, il cliente stabilirà se proseguire o meno con l’operazione di acquisto.
Difetto di conformità
Giunti fin qui, abbiamo preso come punto di riferimento gli articoli nella loro conformità e integrità. Ma quale situazione si viene a creare nel momento in cui ci si imbatte in prodotti non pienamente rispondenti a quanto promesso? Cosa accade, in altre parole, se ci imbattiamo in prodotti difettati? In tal proposito, il legislatore italiano parla chiaro, spazzando via qualunque forma di dubbio o perplessità, facendo pendere la bilancia nettamente dalla parte del consumatore, anche se l’acquisto è avvenuto all’interno di locali commerciali.
Le direttive in tale ambito sanciscono che, al momento della consegna di un bene al suo acquirente, la responsabilità della sua integrità compete al venditore. Tale responsabilità è fissata per un limite temporale massimo pari a due anni dal momento dell’acquisto. Ebbene, se entro due anni da quando è entrato in possesso della merce, il consumatore riscontra e fa presente al negoziante che l’articolo comprato ha dei difetti, egli ha diritto ad avanzare domanda di:
- riparazione;
- sostituzione;
- risoluzione del contratto (cioè riavere indietro i soldi).
Per i primi due punti, il cliente non è tenuto a sobbarcarsi altro genere di spesa, che invece grava sulle spalle del venditore. In conclusione, a patto che si osservino i termini stabiliti dalla normativa in vigore, il venditore ha l’onere di sostituire la merce con vizi di conformità, in virtù della garanzia.