Il governatore della Banca Centrale Europea, Christine Lagarde, aveva provocato disappunto tra gli investitori nella conferenza stampa indetta settimana scorsa, quando aveva affermato che il cambio non è un target dell’istituto. Una risposta a chiunque si era chiesto in tempi recenti se il rafforzamento del cambio euro-dollaro fino a 1,20, soglia massima da due anni a questa parte, non cominciasse a creare disagi alla politica monetaria dell’Eurozona.
Banca Centrale: verità sostanziale, ma c’è un ma
Formalmente, la maggiore figura della Banca Centrale Europea ha detto la verità, sebbene nella sostanza qualcosa stenti a tornare. Difatti, la BCE non detta alcun obiettivo di cambio per l’euro, perché l’unico perseguito concerne l’inflazione, da mantenere vicino, ma leggermente inferiore al 2%.
Pertanto, il fatto che in meno di 6 mesi la moneta unica sia giunta a guadagnare fino a oltre il 12%, in confronto ai minimi dell’anno contro il dollaro, non può autonomamente indurre l’ente ad intervenire.
Eppure, qualche giorno fa anche il governatore spagnolo Luis de Guindos, il numero due dell’Eurotower, ha rimarcato come la paventata inflazione dell’1,3% nel 2022 non possa soddisfare.
Dunque, la Banca Centrale Europa ha il compito di controllare i movimenti del tasso di cambio per evitare che esso destabilizzi i prezzi al rialzo o al ribasso.
I rischi possibili
Se in poco tempo l’euro si rafforzasse troppo, calerebbe il costo dei beni importati e il mercato affronterebbe un’inflazione in calo ancor prima che ciò abbia luogo. Rallenterebbero pure le esportazioni e, in via indiretta, pure la stabilità dei prezzi.
Se l’euro finisse, al contrario, per deprezzarsi velocemente e in modo rilevante accadrebbe l’esatto scenario opposto. Da qui la necessità di convincere il mercato che non si tollererà un super-cambio, prendendo all’occorrenza le contromisure.