Tutto quello che viene detto, sentito e pensato su di me, sui servizi che offro, sulla mia azienda: è il Personal Branding. Che vale sia nella vita professionale sia, in misura minore, in quella privata. Si tratta quindi di un percorso: una persona definisce i punti di forza: cultura di base, conoscenze, competenze, personalità. Ma anche carattere, abilità, resilienza, capacità di sopportare lo stress e di trasformare in positive le energie negative. Tutto orientato a migliorare il proprio business.
Quindi, per il personal branding, si adottano le tecniche utilizzate dal marketing per promuovere i prodotti commerciali: così posizioni nella mente del consumatore il brand associato a una caratteristica. Che è molto particolare: tanto da rendere unici il marchio, la persona, l’azienda. O almeno subito riconoscibili. Così da influenzare le persone: clienti, datori di lavoro, colleghi. Indurli a scegliere.
Però occorre essere onesti. Senza vendere fumo, ossia senza dire quello che non si è. Non è truccare un curriculum per fare bella figura. Serve essere sinceri, per non deludere le attese.
Per Jeff Bezos (Amazon), il Personal Branding è quello che la gente dice di te, una volta che sei uscito dalla stanza. Per la fondatrice e ceo di Milk Adv, Fabiana Fantinato, sono le persone a dare un volto ai loro brand. Sui social network e nelle occasioni pubbliche. Un coach personale si occupa di media training: uso della voce, gestualità, come rispondere alle domande e come districarsi da quelle scomode, gestione del rapporto con giornalisti e stampa. Mentre l’analisi del sentiment individua il punto di partenza per inquadrare quello di arrivo. Fondamentale la gestione dei social. Su Linkedin si può far emergere il sistema valoriale, su Twitter si può puntare invece sulla notizia.