Terminate le immancabili vacanze estive, diverse aziende si sono dovute confrontare con lo smart working. I provvedimenti assunti dai Governi di tutto il mondo, per arginare la diffusione del Coronavirus, hanno imposto modifiche sostanziali all’attività produttiva. Questo anche presso i colossi hi-tech, tipo Google, che hanno preso la decisione di rimandare il ritorno in ufficio al 2021.
Anche un altro gigante dell’informatica, qual è Amazon, ha invitato i dipendenti a portare avanti le relative mansioni via smart working fino all’8 gennaio. Sebbene, volendo, sia possibile recarsi in ufficio, evitando di superare il 30 per cento di presenza.
Smart working: uffici quasi vuoti
Come scrive Il Corriere della Sera, pure gli uffici di Generali sono praticamente vuoti con i dipendenti che prestano servizio direttamente dalle loro abitazioni. Idem per Sky, dove ormai lavorare da remoto è diventata una ghiotta opportunità.
Difatti, lo smart working, nato come una agile modalità atta a garantire il giusto equilibrio tra lavoro e vita privata, si sta trasformando in qualcosa di ben più definitivo, sulle orme di tante compagnie estere, da Google a Twitter fino a Facebook.
Sempre a Milano, altre illustri realtà stanno spingendo verso lo smart working, tra cui Pirelli e Luxottica, un’eccellenza nel Made in Italy. Dalla prossima settimana a Intesa San Paolo, invece, il personale è invitato a presentarsi in ufficio almeno una volta a settimana.
In attesa di sviluppi
Il trend sembra praticamente definito un po’ in tutte le imprese: lavoro da remoto il più possibile o rientri graduali con prospettive incerte, legate inevitabilmente alla diffusione dei contagi.
Le nuove abitudini hanno, d’altro canto, richiesto un elevato prezzo da pagare. Secondo quanto testimonia una recente ricerca, lo smart working ha delle carenze, su tutte il senso di isolamento, avvertito da numerosi intervistati. Inoltre, lo stress e l’ansia percepita avrebbero subito un’impennata.