Il divieto di licenziamento tende a divenire eterno. Sarà operativo fino al 17 agosto 2020, ma il Governo pensa a prolungarlo. Il motivo? Ricerca del consenso elettorale. Io, Esecutivo, non faccio licenziare te. E tu mi dai il voto. Io prolungo la tua vita lavorativa, tu prolunghi la mia vita come politico. In più, c’è la proroga dei contratti a termine in corso al 18 luglio.
Va infatti di moda questa equazione. Chi vieta il licenziamento è buono, protegge i deboli. Chi non vieta il licenziamento è cattivo, vuole fare del male ai deboli.
Le cose non stanno così. In realtà, la libertà d’iniziativa economica va a ramengo. C’è l’articolo 41 della Costituzione che dice: massima libertà d’impresa. D’altronde, la libertà è alla base della nostra Costituzione, ed è una delle parole che hanno ispirato la rivoluzione francese. Tutt’oggi alla base della nostra civiltà.
Il blocco dei licenziamenti ha una conseguenza precisa: la forza lavoro a rischio disoccupazione viene mantenuta. È un peso sociale. Parliamo di chi non ha voglia di lavorare, è sfaccendato, si dà sempre per malato.
Oltretutto, se l’azienda ha le mani legate, la sua morte si avvicina. Un’azienda all’americana, vincente, si avvale di collaboratori pieni di energia, vita, fantasia, coraggio. Un’impresa morente è piena di piccoli tumori inestirpabili.
La verità è che il divieto di licenziamento doveva valere solo per il periodo d’emergenza: in piena pandemia. Oggi non ha senso. Dal punto di vista economico. Sotto il profilo politici, se invece qualcuno va a caccia di facili consensi col reddito di cittadinanza e il divieto di licenziamento, allora in un futuro molto vicino ne pagherà le conseguenze. Le aziende non licenzieranno, ma chiuderanno. A discapito dei dipendenti e dei collaboratori meritevoli, che hanno trovato poco spazio e poche garanzie.