Il Governo Conte punta fortissimo sul cashback. È il rimborso. I soldi che ti tornano indietro. Ma non come un boomerang: è un ritorno piacevole. Un esempio? Un settore è in malora per il Covid (per esempio le pere), l’Esecutivo dice al consumatore di comprare qualcosa di quel settore (due pere), e il cliente verrà in parte rimborsato. Se le due pere costano due euro, il cliente otterrà dallo Stato mezzo euro: spesa di 3 euro e mezzo anziché quattro.
Ma perché ci sia il cashback, il consumatore deve pagare con il bancomat o la carta di credito o un’app specifica. Niente contanti. Niente nero, niente sommerso. Tutto trae origine dai siti cashback: gli utenti guadagnano una percentuale in base ai loro acquisti effettuati nei negozi online. Il cittadino che acquista un qualsiasi bene o paga una prestazione di servizi con carte di debito, di credito o qualsiasi altra forma evoluta di pagamento elettronico beneficerà di uno sconto. Si vedrà restituire una quota della spesa sostenuta. Paghi, e ti torna indietro.
Il cashback partirebbe 1° gennaio 2021: un sostegno immediato ai settori più colpiti dalla crisi economico-sanitaria. Con una partecipazione dello Stato alle spese dei cittadini che pagano con moneta elettronica.
L’esempio arriva da Londra. Qui, ad agosto, c’è “Eat out to help out”. Tu pranzi o ceni nei ristoranti da lunedì al mercoledì a spese dello Stato per almeno il 50% con un costo massimo di 10 sterline. In Italia, sarebbe ossigeno per abbigliamento, calzature, mobili, elettrodomestici purché, aggiungiamo, non made in Cina. Non va ripetuto l’errore dei monopattini elettrici: bonus a chi li compra, coi monopattini costruiti in Cina. È un sostegno all’Italia, non al globo terracqueo.